IVA nuova territorialità dei servizi

Individuazione del requisito della territorialità – Con le novità introdotte dal Dlgs. 11 febbraio 2010 n. 18, in attuazione delle tre Direttive comunitarie in materia di IVA (n. 2008/8/CE del 12 febbraio 2008 relativa alla territorialità delle prestazioni di servizi, n. 2008/9/CE del 12.02.2008 relativa al rimborso IVA ai soggetti passivi stabiliti in un altro Stato UE, n. 2008/117/CE del 16.02.2008 afferente al contrasto delle frodi fiscali relative alle operazioni intra-UE), a partire dal 1° gennaio 2010 è mutato il principio generale per l’individuazione del requisito della territorialità per le prestazioni di servizio cd generiche, vale a dire quelle per cui non è prevista alcuna deroga.

Luogo in cui avviene il consumo effettivo – Si è passati dal principio del “luogo in cui le prestazioni erano rese”, al principio del “luogo in cui avviene il consumo effettivo”, vale a dire quello del committente.
Il recepimento delle tre direttive è stato un passo in avanti nel processo di armonizzazione dell’IVA comunitaria iniziato alla fine degli anni ’60.

Una mancata armonizzazione – L’art. 6, comma 3, della II Direttiva CEE sull’IVA, prevedeva che le prestazioni di servizi fossero imponibili nel “luogo di utilizzazione”, ma ciò era previsto solo per alcune prestazioni di servizi, negli altri casi l’individuazione del criterio di territorialità era rimessa alla discrezionalità degli Stati.

Fenomeni di doppia imposizione – Questa mancata completa armonizzazione, ha fatto sì che in molti casi non sia stato possibile stabilire quale fosse il luogo di utilizzo del servizio, con il conseguente verificarsi di fenomeni di doppia imposizione o non tassazione. Gli Organi comunitari rividero di conseguenza le regole in materia di prestazioni di servizi, e con la VI Direttiva CEE introdussero come regola generale della territorialità quella incentrata sul “domicilio del prestatore del servizio”.

Domicilio per prestatore del servizio – La normativa prevista dalla VI Direttiva, veniva trasportata nell’art. 7 del Dpr. n. 633/72, nel quale, accanto alla regola generale, venivano introdotte, per determinate categorie di servizi, una serie di deroghe, che determinavano la tassazione con riferimento a tre parametri alternativi:
– il luogo di esecuzione della prestazione;
– il luogo di utilizzazione della stessa;
– il luogo del domicilio o della residenza del committente.
Questa soluzione, che si prefiggeva di evitare fenomeni di doppia imposizione e salti di imposta, nonché di semplificare l’individuazione del luogo di tassazione, di fatto non eliminava i fenomeni di doppia imposizione, causando spesso conflitti di competenza tra i diversi Stati membri.

Il ritorno al luogo di utilizzo – A livello comunitario, non si è fatto altro che prendere atto che non si era riusciti a semplificare il quadro normativo in materia di territorialità delle prestazioni, e con la Direttiva 2008/8/CE, entrata in vigore in Italia il 1° gennaio 2010, si è tornati al criterio del “luogo di utilizzo” come il più idoneo a tassare le prestazioni di servizio.

Un sistema duale – Di fatto, dal 1° gennaio 2010 è stato introdotto un sistema, definito anche “duale”, in cui le prestazioni di servizio vengono distinte in base al soggetto che riceve la prestazione stessa, cioè distinguendo a seconda che le prestazioni siano rese nei confronti di privati consumatori, o nei confronti di soggetti passivi.

Consumatore privato – Nel primo caso, viene mantenuto il “vecchio” principio secondo cui il luogo dell’imposizione è quello in cui il prestatore ha stabilito la sede della propria attività economica “luogo del prestatore”.

Soggetto passivo – Nel secondo caso, prende attuazione la nuova regola secondo cui il luogo di imposizione diviene, di norma, quello in cui avviene il consumo effettivo. Per “soggetto passivo” deve intendersi anche colui cui sono ascrivibili attività non rilevanti ai fini IVA, semplicemente in quanto titolare di Partita IVA ovvero identificato ai fini IVA.

Gli enti commerciali – Secondo la nuova definizione di “soggetto passivo”, sono tali tutti gli enti non commerciali (art. 4, comma 4, del Dpr. n. 633/72) se titolari di Partita IVA (per l’attività commerciale) e tutti coloro che svolgono esclusivamente attività istituzionali, identificati però ai fini IVA in quanto hanno effettuato acquisti INTRA oltre la soglia di 10.000,00 Euro (art. 38, Dl. n. 331/93).

Imposta sugli acquisti intracomunitari – Sono considerati soggetti passivi, gli stessi enti che, anche al di sotto di tale soglia, hanno optato per l’applicazione dell’imposta in Italia sugli acquisti intracomunitari e che, a tale motivo, dispongono di un numero di Partita IVA. Pertanto, il fatto stesso di possedere tale numero identificativo, anche se non attribuisce la qualifica di “soggetto passivo” in senso proprio, fa sì che non si debba più distinguere se l’Ente pubblico non commerciale (così anche l’Ente Locale territoriale) riceva una determinata prestazione nell’ambito della propria attività istituzionale o economica in quanto la tassazione avviene comunque in Italia e sono quindi tutti interessati dalla nuova territorialità delle prestazioni di servizi.

Rileva solo l’attività commerciale – In ogni caso gli Enti Locali, benché assimilati agli operatori economici ai fini della territorialità IVA, potranno continuare ad esercitare il diritto alla detrazione solamente per gli acquisti effettuati nell’esercizio di attività commerciali e non per quelli effettuati per attività istituzionali. In altre parole, non ai fini della detraibilità dell’Iva sulle spese sostenute per acquisito di beni e prestazioni di servizi, bensì solo a quelli della definizione della territorialità, quindi degli adempimenti Intrastat, gli Enti Locali perdono in ogni caso la qualifica di soggetto “consumer” e acquisiscono sempre e comunque quella di “business”.

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Categoria: NOTIZIE

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